Devo parlare della guerra ai miei figli?

In questi giorni, purtroppo, è una domanda che spesso mi viene posta.
Allargo la prospettiva non solo tenendo conto di chi è genitore, ma per chiunque ha a che fare con bambini: nonni, zii, parenti, amici, educatori, ecc.
La risposta è sì, con tempi e modi assolutamente specifici, adatti al bambino e la situazione specifici. Assolutamente sì inteso come il non negare la realtà, non dire bugie o nascondere in senso ampio.
Quando un bambino fa delle domande è corretto dare delle risposte per non lasciarlo solo nei suoi dubbi, paure, angosce, filtrando e rendendo comprensibili e adatte le informazioni. Cosa significa: per ogni bambino, secondo le sue capacità psicologiche utilizzeremo un certo linguaggio adatto alla sua età e le sue risorse cognitive ed emotive. Sarà cura dell’adulto capire fino a che punto raccontare e da quali immagini è meglio proteggerlo, perché dire la verità non significa esporre a certe visioni “troppo”, per le quali ancora non hanno gli strumenti di elaborazione. Quindi non facciamo vedere alcune scene troppo violente e crude (sempre una valutazione specifica).

Come potrebbero reagire i bambini?

Potrebbero stare in silenzio e tornare poi con altre domande: rispettiamo i loro tempi senza incalzare ma siamo sempre disponibili a rispondere assicurandoci che abbiamo compreso bene. Potrebbero magari da adolescenti non essere d’accordo con ciò che portiamo : non spaventiamoci ed anzi usiamo ciò che portano per confrontarci attivamente e con reciproco rispetto. Potrebbero avere paura: rassicuriamoli. L’obiettivo principale è quello che, al di là di ogni reazione immediata, si sentano sicuri.

In sostanza, oltre a decidere cosa dire, la cosa più importante è utilizzare la capacità di empatizzare col bambino con cui abbiamo a che fare, comprendere e sentire le sue capacità cognitive ed emotive per farlo sentire al sicuro.